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Italiani nel mondo Felice Beato e Adolfo Farsari, fotografi in Giappone
Due veneti, fabbricanti di immagini, nella seconda metà dell'Ottocento hanno creato per gli occidentali la visione dell'Oriente e l'idea romantica e stilizzata di esotico
Felice Beato
Il Giappone: un Paese esotico e misterioso. Una meta quasi sconosciuta nella seconda metà dell'Ottocento. Il 1869 segna l'inizio del rinnovamento Meiji: il potere è sottratto agli Shogun Tokugawa e riconsegnato all’imperatore. Yokohama, città portuale, conosce un boom commerciale e turistico e si apre al mondo occidentale.
Durante lo shogunato l'accesso degli stranieri era fortemente limitato. Felice Beato, veneziano di origine, fotografo e avventuriero, è tra i primi occidentali a raggiungere il Giappone, dove, pioniere della fotografia documentarista, apre uno studio.
Le sue immagini sono preziose non solo per la qualità, ma anche perché offrono una testimonianza rara e preziosa della vita giapponese dell'epoca.
Insieme all'illustratore britannico Charles Wirgman, apre la società Beato & Wirgman, Artists and Photographers, coniugando la sua perizia fotografica alla tecnica artistica del socio, che si specializza nella colorazione delle stampe. Ben presto sono coinvolti anche altri coloristi. E' un enorme successo commerciale, tanto da aprire una vera e propria scuola, con molti artisti, a Yokohama.
Le fotografie di Beato erano stampe all'albumina, ottenute da lastre di vetro al collodio umido. Nello studio, poi, erano colorate a mano con acquarelli. La tecnica fotografica dell'epoca richiedeva lunghi tempi di esposizione, perciò occorreva prestare la massima attenzione alle inquadrature. Le persone del posto erano spesso in posa sullo sfondo di architetture tipiche.
Le immagini raccontavano la vita quotidiana di un Paese sconosciuto: i samurai, le geishe, i monaci. La Yokohama Shashin, la fotografia in stile Yokohama, si sviluppò grazie al nascente turismo. I viaggiatori compravano gli album come souvenir, affascinati dalle atmosfere esotiche.
Beato giunse in Giappone nel 1863. Nel 1866 il suo studio subì un incendio nel quale molti dei suoi lavori furono distrutti e nel 1877 fu rilevato da Stillfried & Andersen. Nel 1884 si trasferì in Egitto dove, pare, aprì nuovamente uno studio fotografico. Nel 1907 andò a Firenze dove morì nel 1909.
La scuola di Yokohama proseguì la tradizione delle fotografie "alla maniera di Beato" anche molti anni dopo la sua partenza dal Giappone. Le sue immagini hanno contribuito a creare l'immaginario europeo dell'Oriente, un ideale esotico, stilizzato e idilliaco che prosperò fino agli inizi del Novecento.
Adolfo Farsari
L'eredità di Felice Beato fu raccolta dal vicentino Adolfo Farsari che nel 1885 acquisì l'archivio di Beato, lo studio della Japan Photographic Association, da Stillfried & Andersen. Diverrà celebre tra i maggiori divulgatori dell’arte fotografica nel Giappone di fine Ottocento.
Adolfo Farsari arriva in Giappone nel 1878 come manager di una ditta di sigari. Ma ben presto da fotografo autodidatta, Farsari riesce a mettere in piedi una fiorente attività imprenditoriale. In una lettera indirizzata alla sorella nel 1889 racconta: "Ho un numeroso stato maggiore. 31 tra artisti, stampatori, etc., etc., ed inoltre due cameriere ed un cuoco".
Nato in una famiglia dell’alta borghesia, Adolfo è un animo inquieto. Prende parte all’impresa dei Mille ma nel 1863 si imbarca per New York. Qui si sposa, ha due figli e si arruola nell’esercito unionista. La sua ultima lettera alla famiglia in Italia è del 1867. Per 21 anni non darà sue notizie.
l 17 gennaio 1888 Luigi Farsari, padre di Adolfo, riceve una lettera dal Giappone. "Ora sono artista, fotografo, pittore ecc. ecc. e gli affari al presente vanno a meraviglia. Son già 12 mesi che ho aperto il mio studio ed ho già fatti affari strepitosi."
Le circostanze cambiarono pochi mesi dopo. Scrive il 12 aprile 1888 "La moglie è venuta due volte al Giappone per fare la pace eccetera, ma io l'ho rimandata a New York dove ora si trova, e spero che non ritornerà più. Il figlio più vecchio morì circa 10 anni fa di tifodea, (...) L'altro come vi ho detto morì avvelenato quando aveva circa 6 mesi, e fu la cagione di tutte le mie sciagure."
E prosegue "Ora vivo in pace, piuttosto come un misantropo, (...) Tutti però mi conoscono in questa città e a tutti sono ben visto [...]". Qualche anno più tardi rientra in Italia, con abiti orientali, insieme dalla figlia Kiku. Morì a Vicenza nel 1898, all'età di 57 anni.
Farsari proseguì e perfezionò la tecnica di coloritura delle stampe fotografiche e aprì una scuola. Le immagini dei due fotografi sono una preziosa testimonianza della cultura e degli usi del Giappone della fine del XIX secolo. Un Paese in cui gli italiani hanno dato un importante contributo al fiorire della fotografia come attività imprenditoriale, con esiti stilistici e artistici originali.
L'epistolario di Adolfo Falsari, "figliol prodigo" si trova nel sito della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale, un progetto che raccoglie le storie degli italiani che hanno attraversato il mondo lasciando un segno, all'indirizzo: www.idiariraccontano.org/autore/farsari-adolfo/