fotoracconti
La Madonnina del Ferruzzi
La storia di una fortunata fotografia Alinari e di un quadro che non c’è più
Ci sono storie che cambiano mentre le si raccontano.
E ci sono storie in cui il finale resta ancora da scrivere.
Questa è una di quelle storie.
Zattere, Venezia, 1897.
Tutto ebbe inizio con Angelina, che quel giorno aveva acconsentito a fare da modella per un dipinto.
Roberto Ferruzzi, appollaiato sullo sgabello, dava un ultimo tocco di rosso alle labbra del bimbo, forse il fratellino o forse il figlio di una popolana, che le si era appisolato in grembo. Si è fatto tardi, pensava Angelina. La mamma sarebbe rientrata a momenti, e di certo l’avrebbe rimproverata.
In America è la The Madonna of the Streets, riprodotta in mosaico alla St Peter and Paul Church di San Francisco. Ma c’è chi la conosce come Madonna con bambino, Zingarella, Madonna del Riposo, Madonna della Tenerezza o Madonnella. Nella musulmana Dubai è comparsa sui francobolli. Tutti l’abbiamo vista in chiese, cappelle, su tavola, carta o ceramica. Nei rosari, nei portagioie, o appesa sopra il letto.
Persino nelle scene di svariati film, come “La Storia” di Luigi Comencini, “Lo Scapolo” di Antonio Pietrangeli e “Sole a catinelle” di Gennaro Nunziante e Checco Zalone.
Roberto Ferruzzi era nato a Sebenico, in Dalmazia, il 6 dicembre 1853. Alla morte del padre, si era traferito con la madre tra Venezia e Luvigliano di Torreglia. Completati gli studi in legge aveva scelto di dedicarsi alla pittura. E aveva avuto successo.
Maternità la aveva chiamata. Ma presto le aveva cambiato nome, perché tutti ormai la chiamavano la Madonnina.
Nel 1897, la espose alla II Biennale di Venezia.
“Acquistata da Vittorio Alinari, servì da modello per una serie illimitata di riproduzioni in vari formati, su vari supporti, per mille diverse destinazioni.” Spiega il professore Massimo Ferretti.
“Una fotografia del cortile di via Nazionale ci mostra al lavoro l’intera ditta Alinari: in fondo, sotto una tettoia, davanti alla macchina fotografica, riconosciamo la ben nota Madonnina, forse nella stessa cornice con cui era comparsa alla Biennale del 1897. E’ però un altro dipinto rispetto a quello che abbiamo sempre visto riprodotto: ha sviluppo orizzontale. Cambia dunque il rapporto tra figure e formato, fra ambientazione naturale e figure".
(Ferretti)
"Fu Vittorio Alinari a sforbiciarne le parti laterali, riportandolo al più consueto sviluppo verticale dell’immagine di devozione.”
(Ferretti)
Quindi, Vittorio Alinari la ritoccò, ne tolse lo sfondo e infine la inserì in catalogo. La spedì alla rete di agenti sparsi soprattutto per l’Europa e l’America, facendone “traboccare un’alluvione di derivati, fino a perderne il controllo".**
[** Cit. Massimo Ferretti: Gli Alinari fotografi a Firenze, pp. 134-135, e Fratelli Alinari fotografi in Firenze p. 228].
Il suo talento commerciale avrebbe reso la sua “versione fotografica” della Madonnina l’immagine sacra più conosciuta e diffusa al mondo.
Questa almeno è la storia che abbiamo sempre sentito e raccontato finora.
Finché….
Finché... Succede a chi passa le ore tra le fotografie ammucchiate dentro gli archivi, osservandole un giorno dopo l’altro; succede, a volte, che si insinuino dei dubbi. Piccoli, impercettibili, indefinibili dubbi, fastidiosi come il ronzio di sottofondo di una zanzara in una notte d’estate.
Queste due immagini rappresenterebbero dunque la riproduzione fotografica di Vittorio Alinari (ritagliata in verticale) e il cosiddetto dipinto “originale” del Ferruzzi, orizzontale.
La domanda è: ma sono davvero la stessa immagine, ritagliata?
Decido di ignorare i miei dubbi: ormai mancano pochi giorni alla chiusura natalizia e devo consegnare il fotoracconto. Quindi mi sbrigo. Finché ricevo una mail.
Le coincidenze fortuite a volte sono proprio fortunate.
Mi scrive Gionata Ceretta, un ricercatore di Torreglia che da dodici anni raccoglie materiali sul Ferruzzi. Mi parla a lungo dei Ferruzzi.
“E poi” mi dice “quel dipinto del cortile, quello ripreso dalla macchina fotografica… che poi si vede anche nello studio, quella non è la Madonnina del Ferruzzi.”
“Eccoci” penso mentre i dubbi si riaffacciano “Per Natale questo fotoracconto non lo consegnerò mai.”
Guarda le firme, svela Gionata.
Noi che facciamo questo mestiere, sappiamo (o dovremmo sapere) che le immagini si possono guardare e riguardare, in tanti modi. Finché finalmente si vede qualcosa.
La prima è la firma che compare in basso a destra della riproduzione fotografica realizzata da Vittorio Alinari (foto in alto con dettaglio alla destra). La seconda firma, invece, è posizionata in basso a sinistra di quello che si dice sia il dipinto originale del Ferruzzi (foto in basso con dettaglio a destra).
Ma mentre nel primo caso si legge perfettamente “Roberto Ferruzzi”, nel secondo, la calligrafia è differente e, pur se di difficile interpretazione, il nome trascritto sembra un altro.
Che storia è questa?
Cestino il fotoracconto e ricomincio daccapo.
Mi torna alla mente il programma “Chi l’ha visto?” sul ritrovamento di quello che, con ogni probabilità, potrebbe essere il bozzetto preparatorio della Madonnina.
Contatto la giornalista Annalisa Venditti, che racconta di essere stata sommersa da una quantità di “Madonnine” dopo la puntata. Tutte palesemente copie. Tutte tranne una.
La famiglia Ferruzzi ha studiato il bozzetto e lo ha sottoposto ad analisi di laboratorio che ne hanno confermato l’autenticità.
Ma allora, se il bozzetto è autentico, l’ipotesi che esista anche un originale analogo, di taglio verticale, (il dipinto esposto alla Biennale) diventa assai plausibile.
Le coincidenze fortuite a volte non solo sono fortunate, ma persino sorprendenti.
Il 19 dicembre 2023 ricevo una email di Gionata in cui annuncia una “casuale scoperta” presso un antiquario di Grosseto.
L’allegato mi lascia senza parole: eccolo, il quadro della Madonnina. Quello che si riteneva fosse l’originale del Ferruzzi. Sembra proprio identico al dipinto fotografato nel cortile e a quello appeso nello studio di Vittorio Alinari.
Senonché, la firma, in basso a sinistra, non è quella del Ferruzzi. Parrebbe “Riccardo”, insieme a un cognome illeggibile. E somiglia molto alla firma sul dipinto fotografato nello studio di Vittorio Alinari. Ma l’autore chi è?
E quindi i quadri sarebbero due?
Questa storia va riscritta dall’inizio.
Proviamo a interpretare i documenti e le immagini di cui disponiamo, avanzando anche qualche ipotesi.
Dal 22 aprile al 31 ottobre 1897 si svolge la II Biennale di Venezia a cui partecipa Ferruzzi con l’olio su tela Madonnina (oltre che con il grande pastello Verso la Luce).
Vittorio Alinari, prima della chiusura della Biennale, acquista il dipinto e, il 21 maggio 1897, registra l’opera (ovvero ne deposita una copia) per garantirsi “l’esclusivo diritto di riproduzione” come stabilito del Regio Decreto n. 1012 del 19 settembre 1882.
Il prezzo pagato per il dipinto è di 4000 lire. Si tratta di un quadretto di dimensioni ridotte, in formato verticale.
Vittorio è un imprenditore scaltro, con una spiccata sensibilità per l’arte. Mette in vendita svariate riproduzioni della Madonnina: la sua intuizione ha un grande successo.
In principio, le immagini che Vittorio commercializza portano la firma del pittore Roberto Ferruzzi, il marchio Alinari e la dicitura R.I. (Riproduzione Interdetta).
La Madonnina di queste cartoline è identica al negativo con codice ACA-F-045115-0000: è quindi la riproduzione, senza tagli, del vero dipinto del Ferruzzi.
Tuttavia dì lì a poco la firma del Ferruzzi svanisce da cartoline e santini. E l’immagine sembra un poco diversa. Compare dunque la Madonnina di Vittorio, ovvero la riproduzione (tagliata verticalmente) della copia del dipinto orizzontale. Possiamo dunque ipotizzare che sia stato proprio Vittorio Alinari a commissionare questo dipinto? Forse a un dipendente della sua ditta o a un professionista, che probabilmente ha nome “Riccardo”.
Ma perché?
Forse qualcosa è andato storto. Ferruzzi potrebbe avere avuto qualcosa da ridire. Potrebbe non essere stato del tutto d’accordo con i profitti che Vittorio sta realizzando solo per sé. È un’ipotesi.
Oppure Vittorio ha venduto troppo precipitosamente il quadro, senza realizzarne ulteriori copie. O peggio, la lastra negativa si è rotta, o scheggiata, oppure, benché improbabile, si è danneggiata in seguito alle tante riproduzioni.
O, più semplicemente, Vittorio intendeva, con la riproduzione, creare una nuova opera, slegandola al nome del suo autore. Stiamo navigando nel mare delle ipotesi.
E questa immagine? Potrebbe trattarsi di una messinscena.
L’ipotesi farà sorridere molti, tuttavia non è del tutto inverosimile. Perché Vittorio, oltre alla tecnica, conosce bene la portata “illusoria” della fotografia, ovvero la sua capacità di essere ritenuta credibile, anzi “vera” a priori.
Citando un brillante volume di Michele Smargiassi, la fotografia è "Un’autentica bugia" e non è il caso di stupirsi se la sua storia è zeppa di casi come questo.
Le fotografie danno credibilità storica a ciò che ci mostrano, diventandone documento. A prescindere.
E forse Vittorio, con queste immagini, vuole dirci (o non dirci) qualcosa sulla Madonnina che ha girato il mondo.
È una ipotesi, ma non meno improbabile di quella che considera il quadro orizzontale della Madonnina come l’originale del Ferruzzi che poi Vittorio avrebbe tagliato.
Sostiene Gionata Ceretta: “Vittorio Alinari si è limitato a stampare in varie forme una maternità, non più collegata al suo autore, riuscendo nell’intento di creare una sorta di opera d’arte ex novo; infatti, ancor oggi la maggior parte delle persone conosce la Madonnina ma non il nome del suo autore”.
Se la fama della Madonnina si deve indubbiamente a Vittorio, non da meno, questa vicenda gli rende il merito di averci raccontato una storia con una sola immagine e senza spendere una parola.
Una storia a cui abbiamo creduto. Senza battere ciglio.
E qui ci fermiamo.
Non perché siamo giunti a una conclusione: sono ancora molte le domande che aspettano una risposta. Ma la strada delle ricerche è momentaneamente interrotta dalla difficoltà di accesso al materiale d’archivio, custodito in un caveau.
A questo punto diventa fondamentale consultare cataloghi, documenti, verificare quali e quante lastre negative siano conservate, magari nemmeno sotto il nome di Ferruzzi.
Forse, proseguendo le ricerche, il finale della storia potrebbe essere un altro ancora.
Certo è che il mistero della Madonnina che tuttora avvolge il dipinto, ora riguarda anche la sua fotografia.
A proposito, e il dipinto?
In seguito, la proprietà passò a John G.A. Leishman, ambasciatore americano in Europa. E da lì si perdono le tracce.
Si dice che durante il primo conflitto mondiale sia finito in fondo al mare insieme al piroscafo su cui viaggiava, colpito da un bombardamento. Pare però che l’ambasciatore vivesse con la moglie a Monte Carlo, dove poi fu sepolto. Dunque, è altrettanto probabile che il dipinto sia invece ben custodito, da un collezionista o da qualcuno che ne ignora il valore, magari considerandolo l’ennesima copia.
E poi c’è la Madonnina della sala di aspetto. Quella appesa alla parete assieme a Al levar del sole e Madonna della spiga (due dipinti iscritti al concorso indetto da Vittorio Alinari nel 1899).
A osservarla bene, non sembra l’originale del Ferruzzi. Tuttavia, la cornice riccamente decorata, insieme al fatto che sia affiancata da due opere pittoriche, farebbe pensare che si tratti a sua volta di un dipinto.
Ma è mai possibile che i dipinti siano tre?
Al momento non siamo in grado di rispondere. Tuttavia non vogliamo che questa storia rimanga senza un finale. Perciò lasciamo l’ultima parola a chi questa storia l’ha cominciata.
Suor Angela Maria Povio era cresciuta in un orfanotrofio negli Stati Uniti. Tornata in Italia sulle tracce della sua famiglia, aveva finalmente ritrovato due anziane zie.
“Questa è la tua mamma” le aveva detto zia Giulia, mostrandole la Madonnina.
“Oh.. Virgin Mary, la mamma di noi tutti” disse in un traballante italiano.
“Sì. Ma questa è la TUA mamma”.
La mamma di suor Angela Maria era in effetti Angelina Cian, la modella del Ferruzzi. Angelina aveva sposato Antonio Bovo, con cui era emigrata in America. Ebbe dieci figli ma dopo la morte prematura del marito, cadde in depressione e finì in manicomio, dove morì nel 1972.
Non seppe mai che in ogni angolo di mondo c’era chi, a capo chino e mani giunte, cercava conforto affidandosi alla sua effigie.