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“Sono arrivati degli inglesi”
La presenza britannica a Firenze nelle immagini degli Archivi Alinari
“Sono arrivati degli Inglesi”, disse il facchino d’albergo al padrone, “ma non ho capito se son Russi o Tedeschi”. Questo aneddoto è raccontato da Giuliana Artom Treves nel suo libro Anglo-fiorentini di cento anni fa.
Nell’Ottocento la percentuale di inglesi a Firenze era così elevata che i termini “inglese” e “straniero” erano diventati sinonimi.
“Firenze è una località di soggiorno per stranieri provenienti da ogni parte del mondo. La società è un’allegra mescolanza di tutte le nazioni: un terzo è fiorentino, un terzo inglese e la parte restante divisa equamente tra russi, tedeschi, francesi, polacchi e americani”. Cit. N.P. Willis, Pencillings by the way, London 1864
Così il nome di certi luoghi, oggetti o comportamenti deriva da questa presenza preponderante di cittadini britannici. Come il Cimitero degli Inglesi (in realtà un cimitero a-cattolico) in cui è sepolta Elisabeth Barret Browning. Scesa a Firenze cercando sollievo al cagionevole stato di salute, divenne sostenitrice del Risorgimento e della lotta per l’unificazione d’Italia. Come molti connazionali, spiegava Samuel Rogers in Italy, a poem, 1830, che giungevano "Se ricchi, per divertirsi; se poveri, per risparmiare; se malati, per guarire; se studiosi, per imparare; se colti, per rilassarsi dagli studi”.
E inglese era anche la farmacia del signor Roberts, un chimico giunto a Firenze per motivi di salute, che visto il successo della sua attività, si mise a produrre in proprio.
Dopo la sua morte l’attività proseguì fino a diventare la Manetti & Roberts, famosa per il Borotalco e l’Acqua di Rose.
Una città così piena di stranieri aveva ovviamente bisogno di alberghi, che proprio in quegli anni cominciavano a diventare imprese a tutti gli effetti e non case private in cui si ospitavano viaggiatori di passaggio.
Molti hotel presero nomi che avevano riferimenti al Regno Unito, come l’Hotel Bristol (nella foto sul Lungarno Vespucci, prima di diventare Helvetia e Bristol in via de’ Pescioni). O l’Hotel York, l’Hotel des Iles Britannique e l’Hotel d’Angleterre.
Ovviamente tutti questi inglesi avevano bisogno anche dei loro luoghi di culto: quella che ora è la chiesa valdese in via La Marmora, allora era una chiesa anglicana, dove i sudditi dell’impero britannico si riunirono nel maggio del 1910 per onorare il loro sovrano Edoardo morto da poco.
Fra gli inglesi che si erano trasferiti a Firenze c’erano anche i fotografi, come John Brampton Philpot (1812-1878). Il suo nome appare tra i pionieri della fotografia in Toscana e a Firenze in particolare. Iniziò a lavorare nella città nei primi anni Cinquanta dell’800, usando la tecnica del calotipo e proseguì l’attività commerciale con riproduzioni d’arte e vedute al collodio.
Philpot visse a Firenze fino alla sua morte nel 1878.
Nelle sue vedute di Firenze egli dimostra un’insuperata capacità di sintesi tra la sensibilità pittorica di matrice romantica e la consapevolezza che la fotografia è un documento insostituibile dei mutamenti del paesaggio e dell’immagine della città.
L’insieme delle sue fotografie rappresenta un repertorio significativo del gusto e dell’idea di Toscana degli stranieri, che erano i suoi principali clienti.
Ma torniamo a questi inglesi ricchi che arrivano a Firenze e si sistemano in ville prestigiose. Prendiamo John Temple Leader, politico inglese, di impostazione radicale, ma che aveva ereditato un’ingente fortuna dal padre commerciante. Nato nel 1810, nel 1844 abbandonò l’Inghilterra senza dare molte spiegazioni, scegliendo prima il sud della Francia e poi Firenze.
Nel 1855 acquistò il castello medievale in rovina di Vincigliata, nel 1857 una casa in Piazza Pitti. Fu sua anche la Villa I Tatti, successivamente di proprietà di Bernard Berenson.
Vincigliata fu arredata con quel gusto “medievale” che tanto piaceva all’epoca.
Nel 1850 John Temple Leader acquistò Villa Pazzi nel Borgo di Maiano, con la sua vecchia cava che fu trasformata in laghetto.
Furono davvero molti gli inglesi che elessero Firenze a residenza e acquistarono ville, spesso le più belle, in città o negli immediati dintorni.
Arriva fino a oggi la fama di Frederick Stibbert (1838-1906), immortalato in questa fotografia scattata all’ippodromo (è il signore col cilindro a destra dell’immagine).
Stibbert era nato a Firenze da padre inglese e madre italiana.
Discendente di una famiglia di militari (anche lui fu volontario con Garibaldi nel 1866), Stibbert trascorse quasi tutta la sua vita nella villa di Montughi, acquistata dalla madre dopo la morte del marito, che lui progressivamente trasformò in una casa-museo della storia del costume con oggetti comprati nei suoi lunghi viaggi all’estero. Vi continuò ad abitare fino alla morte, senza mai separare la parte in cui viveva da quella museale.
In una lettera, il padreThomas spiegava la sua scelta: “Il motivo che mi ha indotto a stabilirmi a Firenze è la mitezza del clima, la protezione accordata agli stranieri, e la libertà di vivere liberi da ogni restrizione o da odiosi obblighi sociali.”
Quasi contemporaneo di Stibbert fu Louis Alexander Fagan (1845-1903), anche lui anglo-italiano, discendente di diplomatici inglesi, che rispetto a Stibbert aveva un gusto modernista, come dimostra la scelta di farsi costruire una villa in città e ritrarre da John Singer Sargent, artista americano nato a Firenze nel 1856, dove studiò e continuò a tornare per tutta la vita. Fagan, pittore e storico dell’arte, lavorò al British Museum e concluse la sua vita a Firenze nei primi anni del nuovo secolo.
Un posto a parte poi meritano le donne che entrano in questa storia come figure importanti nella vita sociale e culturale, ma anche economica, della città.
Janet Ross (1842-1927) venne con il marito a Firenze nel 1867 e nel 1888 comprò la villa di Poggio Gherardo, ristrutturandola sempre secondo il gusto medievaleggiante del tempo. Per arredarla si rivolse ad antiquari fiorentini, e finì per creare un mercato di mobili e dipinti che ebbe effetti positivi anche sulle sue sostanze. Fu anche una giornalista e scrittrice che molto fece per diffondere all’estero l’immagine di Firenze. Fra i suoi libri: Italian sketches e Florentine villas ma anche Leaves from our Tuscan kitchen or how to cook vegetables.
Lady Alice Keppel (1868-1947) è stata una nobildonna scozzese, amante del re Edoardo VII e bisnonna dell’attuale regina consorte Camilla.
Alla morte di Edoardo (nel 1910) lasciò l’Inghilterra e si trasferì a Firenze dove acquistò la Villa dell’Ombrellino, in cui avevano vissuto, fra gli altri, Galileo e Ugo Foscolo. Villa che rimaneggiò sia nella parte edificata che nel giardino trasformato nel 1926 in un giardino all’italiana da un architetto inglese.
Alla sua morte, nel 1947, la villa fu ereditata dalla figlia Violet Trefusis (1894) che in Francia, dove si era trasferita e sposata, creò un cenacolo di intellettuali, artisti e politici (tra cui Proust, Cocteau, Dior e Mitterand).
Alla città dedicò un romanzo, I Papagalli sull’Arno (con una sola p: non gli uccelli, ma una famiglia fiorentina!) con uno sguardo disincantato, beffardo, ma anche affettuoso. Anche lei, come la madre, morì nella sua villa, nel 1972.